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Psicoterapia della Gestalt



“L’importante non è quello che hanno fatto di me,
ma ciò che io faccio di ciò che hanno fatto di me”
J.P. Sartre

Le origini: dall’appartenenza psicoanalitica verso la differenziazione gestaltica.

La storia della Psicoterapia della Gestalt è una storia di contaminazioni e differenziazioni. E’ il percorso di una grande intuizione generata dall’incontro e dall’integrazione con diverse discipline. Nasce negli anni ’50 negli Stati Uniti ad opera di Fritz Perls (Berlino,1893- Chicago,1970), tedesco di religione ebraica, che nel 1952 fonda a New York il primo Gestalt Institute. Si tratta di una scuola clinica post analitica influenzata dalla Psicologia della Gestalt, dall’Olismo di Smuts, dalla Teoria del Campo di Kurt Lewin, dalla Fenomenologia, dall’Esistenzialismo e dallo Zen.
La nascita di questo nuovo modello psicoterapeutico avviene quando Perls intuisce che durante la fase orale accade qualcos’altro a livello evolutivo che la psicoanalisi non aveva fino a quel momento preso in considerazione: lo sviluppo dentale. La comparsa dei denti segna l’inizio di una nuova fase evolutiva del bambino che comincia così ad ad-gredere il cibo, per poi assimilarlo, se lo ritiene nutriente, oppure sputarlo quando non serve. Questo evento biologico segna la fine della fase introiettiva sostenuta dall’attività della suzione in favore dello sviluppo dei denti che sostiene la capacità del bambino di aggredire e manipolare l’ambiente in funzione dei propri bisogni.
L’aggressività quindi è di fondamentale importanza per la crescita dell’individuo: è una forza propulsiva positiva necessaria alla sopravvivenza, alla crescita fisica e psicologica. L’aggressività sostiene e stimola l’autorealizzazione dell’individuo.
Perls, medico psicoanalista di formazione, elabora queste intuizioni nel periodo di permanenza in Sud Africa dove si rifugia nel 1934 per sfuggire alle persecuzioni razziali. Successivamente presenta il suo contributo sulle resistenze orali nel 1936, durante un Congresso Internazionale di Psicoanalisi a Praga dove sottolinea l’importanza dell’istinto della fame oltre a quello sessuale e parla dell’aggressività come  di un comportamento utile e funzionale alla sopravvivenza dell’individuo. Questa esperienza segna la rottura definitiva di Perls con la psicoanalisi. Queste nuove idee sono contenute nel suo primo libro, “L’io, la fame, l’aggressività” (1942), nel quale critica fortemente la psicoanalisi per non aver dato importanza alla capacità dell’Io di attivarsi per soddisfare i propri bisogni attraverso un’azione auto affermativa. In questo primo scritto compaiono anche una serie di concetti chiave della psicoterapia della Gestalt: la centralità del momento presente, l’uso del corpo, il contatto diretto, la valorizzazione dei sentimenti, l’approccio olistico alla persona, l’importanza della responsabilità del paziente nella creazione e riproduzione dei suoi sintomi e nel ripristino del suo equilibrio.
Finita la guerra Perls si trasferisce negli Stati Uniti dove, insieme ad un gruppo di intellettuali, il “Gruppo dei Sette”, (P. Goodman, R. Hefferline, E. Shapiro, S. Eastman, L. Polsner, I. From e P. Weisz), comincia a dare forma alle sue intuizioni che vengono sistematizzate nel volume “Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt” (1951) scritto da Perls, Hefferline e Goodman che rappresenta ancora oggi uno dei testi fondamentali.
Nascono i primi istituti di Gestalt che Perls non dirige, lasciando il compito a sua moglie, Laura Polsner, e a Paul Goodman, preferendo viaggiare per far conoscere questo nuovo metodo di lavoro. In questo periodo entra in contatto con artisti piuttosto che con professionisti ed incontra, partecipando a dei seminari, la “consapevolezza sensoriale” di Charlotte Selver, e lo psicodramma di Moreno dal quale Perls prende spunto per la tecnica gestaltica del monodramma.
L’interesse di Perls per il teatro e la drammatizzazione e l’integrazione con altre e diverse discipline ha comportato la nascita di due diverse scuole: la scuola “Californiana” gestita da Perls e gli Istituti della West Coast dove lavorano sua moglie, Laura Polsner, Paul Goddman, Joseph Zinker, Erving e Miriam Polster (attualmente Erving Polster è il massimo esponente vivente della Psicoterapia della Gestalt) e Isadore From. Questi ultimi utilizzano con una metodologia maggiormente legata all’interazione verbale mentre Perls fa largo uso delle tecniche teatrali e del corpo.
Nel ’68, Pearls si stabilisce nella comunità di Esalen in California, la Gestalt inizia ad affermarsi come nuovo metodo psicoterapico conosciuto in tutto il mondo: le sessioni di lavoro di Perls vengono registrate e successivamente pubblicate in un nuovo volume “Gestalt Therapy Verbatim” (1968)
Nel 1969, quasi al termine della sua vita ma anche al culmine del suo successo, Fritz Perls decide di ritirarsi in Canada,con un ristretto gruppo di collaboratori per dar vita ad una Comunità (kibbutz) in cui vivere secondo i principi della Gestalt 24 h su 24.
Muore a Chicago nel 1970.

“Negli esseri animali, non esiste funzione alcuna
che si svolga indipendentemente dall’oggetto o dall’ambiente,
sia che si tratti di funzioni a carattere vegetativo, come la nutrizione e la sessualità,
o di natura percettiva, o di origine motoria,
o ancora dell’atto di sentire o di ragionare”.
Perls, Hefferline, Goodman, 1997


Dalle contaminazioni alla nascita di un nuovo metodo

Ma come è arrivato Fritz Perls su questa nuova via? Quali sono le influenze e le contaminazioni a cui si è lasciato andare per poi dare vita a questo nuovo modello? Cercherò da ora in poi di raccontare di queste contaminazioni per poi tradurle in elementi caratteristici della Psicoterapia della Gestalt.
La parola “Gestalt” ha origini tedesche, significa “forma”, “figura”, “configurazione”. Gli psicologi della Gestalt nei primi anni del ‘900 si sono occupati di studiare la percezione e le regole che sottendono questo processo. Fritz Perls entra in contatto con questa nuova realtà della psicologia contemporanea grazie ad un’esperienza come allievo assistente di Goldstein a Franconforte.
In questo periodo Perls conosce Wertheimer, caposcuola degli psicologi della Gestalt e la sua scoperta del fattore phi, fattore percettivo unitario. Nel processo percettivo non sono i singoli stimoli ad essere percepiti, bensì le loro configurazioni unitarie. In termini più semplici, Wertheimer scopre che il soggetto percepisce la figura, non i singoli elementi che la compongono. Dagli esperimenti effettuati, è emerso che di fronte ad una figura scomposta in alcune sue parti, la  persona tende a completarla nelle sue parti mancanti. Se fallisce in questa operazione, prova tensione e frustrazione. Da qui nasce il concetto delle “gestalt incompiute”, ovvero tutte quelle esperienze che il soggetto ha vissuto nel corso della sua vita ma che non è riuscito a risolvere e a completare. Tali esperienze incidono fortemente sulla qualità della vita presente della persona in termini di  equilibrio ed armonia e le impediscono di vivere pienamente la sua esistenza.
Tra le leggi che regolano i processi percettivi, la “legge della pregnanza” è particolarmente significativa: la figura percepita, contiene una forma organizzata che è la migliore possibile in quel dato momento e dato quel contesto, in base ad un principio di economia dell’organizzazione.
Questo in Gestalt, si traduce nel concetto di adattamento creativo. Il sintomo e, più in generale, il comportamento, secondo la Psicoterapia della Gestalt, non sono altro che il miglior adattamento possibile per la persona in quel dato momento ed in quelle circostanze della sua vita. Il sintomo in Gestalt è funzionale per l’equilibrio della persona in quel dato momento perché le permette di sostenere nel miglior modo possibile una situazione per lei difficile. Sono la fissità e la rigidità di quel dato comportamento o pensiero o sintomo a renderlo disfunzionale e patologico.
Dal lavoro al fianco di Goldstein, Perls mutua due elementi fondamentali per la Psicoterapia della Gestalt: l’attenzione al “come”, ossia al processo piuttosto che ai contenuti ed il concetto di autorealizzazione come fine ultimo del comportamento umano. Goldstein, studiando il funzionamento del processo percettivo in un gruppo di ex combattenti di guerra con danni cerebrali, è giunto a teorizzare che l’unico vero istinto dell’essere umano è l’autorealizzazione raggiungibile solo attraverso l’interazione con l’ambiente e lo sviluppo delle proprie potenzialità al fine di ottenere un equilibrio energetico. Egli osserva che l’individuo usa il linguaggio come rappresentazione del proprio pensiero, pertanto, stando attenti a come l’individuo lo utilizza, piuttosto che al contenuto, è possibile conoscere molto della sua organizzazione cognitiva. In termini clinici parliamo di autoregolazione organismica, ovvero la capacità di un organismo sano di utilizzare tutte le sue potenzialità per soddisfare il bisogno più in figura in quel momento. Una volta terminato questo compito, quel bisogno va nello sfondo in favore di uno nuovo che diventa pregnante. Parliamo di un'attenzione al “come” la persona si esprime nel linguaggio delle parole, in quello del corpo. Per la Psicoterapia della Gestalt l’essere umano sviluppa la sua identità, cresce, matura stando in relazione con l’ambiente, entrando in contatto con gli altri. Quando questa funzione vitale e nel contempo evolutiva si blocca, si crea uno squilibrio, una disarmonia. Ripristinare una modalità di contatto fluida e flessibile con l’ambiente è l’obiettivo della terapia volta alla crescita, all’autonomia e alla realizzazione personale.
Dalla psicoanalisi, quella meno ortodossa, Perls riprende degli elementi che diventeranno importanti in Gestalt. In particolare il concetto di “corazza caratteriale” teorizzato da Wilhelm Reich, psicoanalista decisamente poco ortodosso precursore e ideatore della bioenergetica. La sua è una tecnica attiva in cui il paziente viene toccato per prendere coscienza delle sue tensioni muscolari croniche, espressione di un tentativo di difendersi dalle emozioni. Reich affronta in maniera diretta tematiche come la sessualità e l’aggressività. Perls è profondamente influenzato dal lavoro con lui (è stato suo paziente) così come dal concetto di contro volontà, teorizzato da Otto Rank, ritenuta una forza propulsiva necessaria alla differenziazione e alla crescita umana. In Psicoterapia della Gestalt molta attenzione viene data al corpo ed alle sue capacità espressive e l’aggressività non è considerata di per sé negativa, bensì sostenuta in quanto forza positiva funzionale alla maturazione ed alla crescita.
Della Teoria del Campo di Kurt Lewin  la terapia gestaltica riprende il concetto di campo e di percezione selettiva. Kurt Lewin, applicando i principi della Psicologia della Gestalt alla vita quotidiana, intuisce come, nell’esistenza, la persona si muove e si orienta in funzione della soddisfazione dei propri bisogni e/o del raggiungimento dei suoi obiettivi. L’individuo è costantemente immerso nel suo ambiente e la percezione di quest’ultimo varia in funzione dei suoi bisogni, dei suoi obiettivi e delle modalità d’interazione con l’ambiente stesso: la percezione è un processo attivo e selettivo. In termini clinici questo significa che la persona è costantemente inserita in un mondo relazionale e qualsiasi evento psichico è frutto della relazione tra individuo ed ambiente. Quindi se la percezione è selettiva e l’obiettivo della persona è risolvere tutto ciò che ostacola la soddisfazione dei sui bisogni, la percezione è guidata dal problem solving, spingendo il soggetto verso tutto ciò che può portarlo alla soddisfazione del bisogno o dei bisogni in figura in quel momento.
Dalla fenomenologia la psicoterapia della Gestalt riprende tre concetti fondamentali: sospensione di ogni giudizio circa la verità o falsità di qualunque interpretazione della realtà, l’importanza della descrizione della realtà piuttosto che dell’interpretazione e l’elemento della parità. In terapia questo significa che il terapeuta presta attenzione a ciò che emerge in quel dato momento nella relazione col paziente, non interpreta bensì descrive ciò vede e ciò che accade nel qui ed ora, in una relazione simmetrica dove entrambe mettono in gioco il proprio modo di essere. La realtà non è definibile a priori e non può essere incasellata in categorie prestabilite, la realtà è ciò che accade fra osservatore ed osservato in un dato momento. Sulla base di ciò che si osserva si possono solo fare delle ipotesi che vanno sempre verificate. In termini clinici significa che lo psicoterapeuta della Gestalt, nel processo diagnostico terapeutico, si relaziona alla persona così come questa si rivela momento dopo momento, non rifacendosi a categorie o procedure predefinite. L’assessment della persona è continuo e continuamente revisionato e revisionabile; la persona è molto più dei sintomi con i quali si identifica.
Dalla fenomenologia esistenzialista la Psicoterapia della Gestalt riprende l’importanza dell’unicità di ciascuna esistenza, il concetto dell’esserci, ovvero la sensazione consapevole di essere qui ed ora e di essere-con, ovvero sempre connessi con gli altri esseri umani. In Gestalt l’attenzione è rivolta all’esperienza concreta e reale che è l’unica possibile e può essere fatta solo nel presente e attraverso i sensi, l’essere umano è considerato unico ed irripetibile e per questo difficilmente classificabile in categorie e definizioni. Inoltre l’individuo è responsabile, cioè in grado di poter scegliere nonostante i condizionamenti biologici ed ambientali. La persona è attiva nella scelta dei suoi comportamenti funzionali e disfunzionali, così come è attiva nel cambiamento, frutto di una scelta consapevole. La persona è libera di poter sbagliare con consapevolezza.
La Psicoterapia della Gestalt può definirsi esistenziale nel senso che si interessa e si occupa dell’intera esistenza della persona, non soltanto dei suoi sintomi o del suo carattere.
Dall’Olismo così come teorizzato da Jan Smuts, la Gestalt riprende il famoso concetto “Il tutto è più della somma delle sue parti”: secondo questa prospettiva l’essere umano va considerato come un’unità totalità non identificabile come semplice somma di tutte le sue diverse componenti. In termini clinici possiamo dire che la persona è una totalità il cui significato non è dato semplicemente dall’insieme di mente, corpo, pensieri, emozioni, sensazioni, bensì dal come queste diverse parti interagiscono fra loro ed è in quel come che si identifica e si differenzia da tutti gli altri esseri umani ed è il suo come, il focus dell’attenzione della terapia.

“Non desisteremo mai dall’esplorare
E la fine della nostra esplorazione
Sarà quando arriveremo al punto di partenza
E lo conosceremo per la prima volta”
T.S.Eliot 
La Teoria del Self: l’essere in divenire

La Gestalt viene spesso definita come la terapia del contatto. Per contatto si intende un processo di crescita e di cambiamento. possibile attraverso l’esperienza che comprende tutte quelle azioni, o insiemi di contatti, emozioni, possibilità, pensieri che l’individuo, posto all’interno di un sistema, inevitabilmente sperimenta e che costituiscono i suoi confini.
Il contatto è lo scambio tra l’individuo e l’ambiente. “Il contatto consiste nel toccare, toccare qualcosa” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pp.180). Ma lo scambio è impossibile senza un confine, senza la chiara percezione che individuo ed ambiente sono due cose separate; per questo, in Gestalt, ogni esperienza avviene al confine di contatto che è il luogo in cui l’Io e il Tu (l’ambiente) si incontrano, si scambiano qualcosa, per poi assimilare la novità generata dallo scambio, differenziarsi ed infine ritirarsi.
Ma “chi” entra in contatto con l’ambiente? In Gestalt si parla dell’Io per indicare l’individuo ma l’Io è anche una funzione del Self o Sé che non è un’entità fissa, una struttura della psiche, ma rappresenta la modalità d’essere dell’individuo in questo preciso momento ed in questa precisa circostanza. Rappresenta il processo di continuo adattamento creativo dell’uomo a livello biologico, affettivo ed intellettivo alle condizioni sempre mutevoli del suo ambiente interno ed esterno. Rappresenta il proprio modo di essere  e di esser con nel mondo.
La nevrosi insorge nel momento il cui il Sé si irrigidisce e diventa così incapace di un contatto pieno con l’ambiente. Le funzioni del Self sono tre: Es, Personalità, Io.
L’Es si riferisce al mondo delle sensazioni, dei bisogni (consapevoli e inconsapevoli) e pulsioni: per esempio fame, sessualità, fatica, desiderio.
La Personalità è lo sfondo dal quale emergono i bisogni. E’ la dimensione storica della persona, l’immagine che ha di se stessa.
L’Io ha a che fare con la volontà, con le scelte deliberate e coscienti di cui ci si sente pienamente responsabili e che permettono di orientare il comportamento. Si tratta di ciò che la persona vuole, di ciò che oggi decide di fare.
Presupposto di fondo della terapia della Gestalt è che l’essere umano è sempre in relazione con l’ambiente, la sua identità si forma e si struttura all’interno di un campo relazionale
Il contatto pieno con l’ambiente implica l’assimilazione; soltanto ciò che viene assimilato diventa parte dell’individuo. Il contatto pieno fa sentire appagati, fiduciosi e forti ma“Ognuno gestisce la propria energia in modo da realizzare un buon contatto con il proprio ambiente, o da resistere al contatto” (Polster, 1986, pp.67)
Quando il contatto viene interrotto l’individuo prova rabbia, risentimento, delusione, impotenza. Queste interruzioni in Gestalt si chiamano modalità di resistenza al contatto e stanno ad indicare non solo in che modo l’individuo interrompe il contatto ma anche come interagisce con l’ambiente. Non sono di per sé patologiche, anzi sono funzionali ad un buon adattamento creativo, diventano disfunzionali quando assumono le caratteristiche di fissità e rigidità e non permettono un contatto pieno ed autentico con l’ambiente.
Per assimilare qualcosa è necessario masticare; tutto quello che viene inghiottito per intero dall’ambiente, ciò che non viene masticato per poi essere sputato o digerito, rimane un corpo estraneo. In Gestalt parliamo di introietti per indicare tutto quello che in maniera acritica e passiva prendiamo dall’ambiente. Sono tutti quei “devo” che interferiscono e smorzano la spontaneità dell’individuo. L’introiezione è una delle modalità utilizzate dall’individuo per interagire con l’ambiente; è positiva nel momento in cui permette l’assimilazione, è negativa quando è ripetitiva passiva ed acritica e segnala una scarsa definizione dei confini dell’Io.
La proiezione è invece caratterizzata dal disappropriarsi di pensieri, sentimenti, intenzioni sentiti come inaccettabili e per questo attribuiti all’ambiente E’ funzionale quando ci permette di comprendere l’altro, prevederne i comportamenti, diventa disfunzionale quando impedisce la presa di responsabilità piena di tutto ciò che ci appartiene
La confluenza è una modalità caratterizzata dall’assenza totale dei confini, si realizza, per esempio durante il rapporto sessuale e tutte le volte in cui individuo ed ambiente si fondono perdendo i propri confini. E’ funzionale quando permette la condivisione e la partecipazione, diventa disfunzionale quando genera confusione rispetto al senso di sé. Ricordiamo che non ci può essere un buon contatto in assenza di confini.
La retroflessione: consiste nel rivolgere contro se stessi pensieri,emozioni, che in realtà sono riferite all’ambiente. E’ funzionale nel caso in cui per esempio si parla di se stessi, implica l’attività dell’autosservazione. Diventa disfunzionale quando impedisce l’apertura al mondo, congelando l’individuo.
La deflessione è un evitamento, una deviazione del desiderio o del bisogno, una modalità utile a raffreddare il contatto. Ridere, parlare troppo, cambiare discorso sono modalità deflessive. Può essere funzionale come nel caso della diplomazia, utile in alcune circostanze, ma diventa disfunzionale quando genera un sentimento di inconcludenza, di superficialità.
Questi meccanismi frequenti e spesso inconsapevoli, rappresentano le diverse tonalità cromatiche dell’individuo, la sua personale ed unica modalità di interazione con l’ambiente. Il lavoro terapeutico consiste proprio nello svelamento del proprio modo di fare ed interrompere il contatto per poi ripristinare la spontaneità e la piena responsabilità. La terapia ha come obiettivo l’accettazione di sé, l’integrazione delle parti inconsapevoli (lavoro con le polarità), il ripristino della capacità di auto ed eterosostegno, il rinascere della possibilità come condizione dello stare al mondo.
La Psicoterapia della Gestalt è esperienziale, si fonda sul presente, sulla relazione tra terapeuta e paziente nel qui ed ora. Opera per il fiorire della consapevolezza, per ravvivare il mondo emotivo della persona, lavora a favore dell’integrazione delle parti scisse, di cui la persona non è consapevole. E’ sblocco, sviluppo e crescita, è la possibilità di prendersi la responsabilità del proprio modo di essere al mondo, è la possibilità di scegliere sentendosi parte attiva e protagonista del proprio cambiamento.
Perls sosteneva che la psicoterapia della Gestalt è troppo buona per rivolgersi esclusivamente al malato, infatti questo metodo è applicabile in diversi contesti: setting individuale, di coppia e di gruppo. Può essere praticato nelle istituzioni così come nelle imprese; i laboratori esperienziali su diverse tematiche a favore dello sviluppo e della crescita sono applicabili al contesto scolastico, aziendale, alla formazione ed in generale a tutti coloro che sentono il bisogno di recuperare la pienezza della propria esistenza riscoprendo le proprie emozioni, bussola e faro del nostro essere con e nel mondo.


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